Marco de Vincenzo intervista tbt. Questa intervista è apparsa su Toh! n.1
I commenti dopo il suo ultimo show sono stati più o meno tutti sul tono del “Se c’è un giovane in giro con delle doti, di sicuro è lui”. Cura nei dettagli, nessuna paura di proporre qualcosa di diverso. Marco de Vincenzo sta per affrontare la sua terza collezione di ready to wear con voglia di stupire ancora.
Nato a Messina, da tempo vive a Roma dove lavora come responsabile degli accessori di Fendi. Il 28 gennaio dell’anno scorso organizza fuori calendario una sfilata haute-couture a Parigi per poi orientarsi verso il prét-à-porter .
Vincitore del concorso Who’s on next? del 2009, è pronto a sfilare per la terza volta durate la fashion week milanese che lo vedrà impegnato domenica 26 al Circolo filologico di Via Clerici.
Ma prima di questa fatica, si lascia andare ad una chiacchierata amichevole su come sta affrontando questo momento. E su un sacco di altre cose.
Allora Marco, ci siamo. Manca pochissimo alla data fatidica. Come stanno andando le cose?
Bene, adesso bene. Oddio. Proprio poco fa è arrivata una telefonata che parlava di un tessuto che è stato sabotato. Arrivando a Milano in treno tra una galleria e l’altra, dopo mezzora ho capito la gravità della cosa. Tra l’altro è un pezzo che in qualche modo deve uscire.
Beh, niente a confronto con quello che ti è capitato durante l’ultimo anno..
Sì, mi sono capitate tutte le sfighe negli ultimi mesi. Sai, c’è sempre qualcuno che ti mette in guardia, ti dice cosa ti può succedere. Ma tu ti senti diverso, dici chenon potrà mai capitare a te.
E invece, per un momento Marco de Vincenzo non aveva neanche un produttore…
Non avere un produttore è la cosa peggiore, da solo dove vai? Se non c’è qualcuno che ti supporta economicamente senza un’azienda alle spalle non puoi fare niente. Sono stato come in un’ampolla per qualche mese e poi, nelle settimane successive alla sfilata, la situazione si è sbloccata. E comunque non è stato anche lì un periodo facile.
Pensa che abbiamo anche pensato a come presentare la prossima collezione, se fare anche la sfilata o pensare a una soluzione diversa. Ma non ce l’ho fatta a rinunciare alla sfilata. Ho molto insistito: è una cosa personale, non riesco proprio a rinunciarci ormai.
Quindi anche a livello economico, sarà un impegno importante…
Sì, quest’anno sarà una sfilata che per il 50% mi finanzio io in prima persona. È da anni che guadagno e reinvesto senza portare a casa niente! Ho rinunciato alla casa, a tante cose. Prima o poi spero di farcela a sistemarmi un po. Per quanto riguarda il lavoro della Camera della moda, devo dire che quest’anno non posso lamentarmi. Speravo sinceramente di sfilare un po prima… Ma per il resto, sfilo al Circolo filologico che mi hanno detto che è un posto bellissimo. La Camera della moda ha fatto un lavoro pazzesco. Sono riusciti ad abbassare i prezzi delle location per venirci incontro. Così dimostri che ci tieni davvero.
Beh, forse dovevano farlo, vista la scelta che hanno fatto di chiudere la fiera.
Io devo dire che non ho amato molto la fiera. È un po’ deprimente, tutto uguale, un po’ angoscioso. Quest’anno invece tutto in centro. Mi piace molto!
Senti. Cosa ci dobbiamo aspettare dalla tua sfilata?
Cosa vi dovete aspettare. A parte che non lo so perché come hai visto non so ancora che materiale avrò! Devo dire che non sono uno che accetta volentieri le critiche, come tutti credo, sul momento. Però ho fatto tesoro di tutto quello che mi è stato detto sulla scorsa stagione. Per me è stata una stagione un po’ ibrida, frutto di un periodo un po’ negativo.
Mi piace, non la rinnego ma emotivamente era un po troppo dura. Questa lo è molto meno, meno austera. Una ritrovata serenità. Sparisce il tono di malinconia e di cupezza che cera nell’ultima.
Un po’ come il tuo debutto milanese, grafico e colorato?
Sì, ricorda un po’ la prima stagione per appeal, anche se è un po’ meno grafica. C’è di nuovo un accenno allo sport, ai colori primari. Un po’ di anni settanta nell’aria che non mi aspettavo.
Ho lavorato sicuramente meglio rispetto a sei mesi fa, pur nei limiti di una momento in cui fare una collezione deve essere un compromesso continuo.
In che senso?
Nel senso che devi fare delle rinunce. Magari dici “Che bello quel bottone!” e ti si apre attorno una voragine di negatività perché il tuo bottone preferito ha dei minimi di produzione altissimi.
Quindi è sempre tutto un lavoro di elasticità mentale. Per tutto. Se vai nelle fiere e non sei un nome conosciuto non ti danno neanche il materiale per fare un minimo di campionario.
In questo clima di elasticità forzata credo di aver fatto il meglio che potevo. È chiaro che usi le tue possibilità ma lo fai, come dire, in una percentuale più bassa, mi capisci no? E poi ti obblighi ad abbandonare delle cose…
Cosa ti è dispiaciuto di più abbandonare?
Per la muova stagione tanti tessuti: le rinunce sono soprattutto nell’ambito della materia prima. Poi, ovviamente, ti ingegni e trasformi quello che hai. Sai cosa? Quando fai questo lavoro un po’ segaiolo lo diventi. Ti fai dei problemi su delle cose che vedi solo tu ma che è una vera fatica abbandonarle. Nel tuo mondo fatato succede qualcosa di apocalittico ma in realtà non succede niente.
Quindi fare una collezione è un continuo cesellare con un occhio alla creatività e uno al budget…
Certo. Io ho iniziato all’alta moda a Parigi e quando ci ripenso mi viene in mente come quella fu fatta veramente quasi con un solo tessuto a sette euro al metro. Dopo un po di tempo vorresti evolverti un po, ma è difficile. Poi quando hai tutta la collezione lì, magari ti affidi a una stylist che ti sistema le cose.
Mi piace che ci sia un punto di vista esterno che non sia innamorato a priori. Sai, chi vede le cose per la prima volta è più freddo, non è emotivamente coinvolto. Ma restano alcuni pezzi che non può toccare. Metto i miei paletti. Anche quest’anno. Ce ne sono tre che non possono non sfilare!
E senti, hai accennato a Parigi. Adesso che sei a Milano, tu che sei di Roma, come la vivi?
A Roma ormai vivo da dieci anni quasi. C’erano dei momenti in cui non potevo staccarmi dalla città. Adesso, se devo essere sincero, lo farei più a cuor leggero. Magari venendo proprio a Milano. Sai, prima avevo un po’ di pregiudizi, non so come sia viverci, ma quando ci vengo sono in fase di innamoramento. Se devo essere sincero, è l’ambiente in cui mi ritroverei che mi spaventa un po. Tutto quel discorso “modaiolo” che a Roma non esiste. Quando esci non ti deve interessare chi sei, dove sei. Qui sembra quasi che la gente lavori tutto il giorno e non riesca a staccare. Nemmeno quando esce o va in discoteca.
Tu ci vai?
Mah, sono molto più rilassato, mi piace uscire ma stare con i miei amici, girare un po’, divertirmi peri fatti miei. Credo che comunque anche qui si possa avere una vita e uscire senza dover seguire il branco e trovando qualcosa che ti faccia stare a tuo agio. Sai, di moda a Roma non puoi parlare perché intanto non interessa a nessuno.
Dai, già che siamo sulla città. Cosa ti piace di Milano?
Io vado sempre in zona Ticinese a fare una passeggiata anche se non la conosco per niente. Mi piace molto, la adoro. Mi fa stare proprio bene, anche perché mi piacciono i negozi che ci sono.
Che a Roma, invece…
A Roma c’è un mercato diverso: arrivando qui sembra di stare ad Anversa perché a Roma non c’è niente di tutto questo. In realtà, ultimamente c’è un quartiere molto carino che si chiama Monti che sta diventando un bel posto. Aprono negozi carini di ragazzi giovani, noni soliti classiconi seriosi. Anche cose sperimentali, un po’ di ricerca.
Mi racconti i tuoi prossimi impegni? Oltre alla collezione, ovviamente…
Beh, prima della sfilata devo andare a Parigi per vedere i tessuti invernali in fiera. È una cosa che non sopporto, questo accavallarsi dei tempi. L’estivo è ancora da finire e da sistemare e devo già concentrarmi su quello che succederà tra sei mesi. Guarda, meno male che le vacanze sono state bellissime. Ho staccato e sono pronto ad affrontare tutto. Posso dirlo? Benedetto agosto.
Intervista di Matteo Zampollo.
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